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al testo di Salvatore Solinas
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La coscienza individuale e collettiva della civiltà occidentale, per quanto si adoperi a superare, dimenticare, non può liberarsi dal rimorso per le immani catastrofi che hanno insanguinato il Novecento. La memoria non può cancellare le guerre, le stragi di milioni di esseri innocenti dove alla stolida ambizione di generali e guerrafondai si mischiavano in un mixer esplosivo la follia di dittatori e la stoltezza di uomini politici. I versi in latino sono leggibili nei due sensi, da destra a sinistra e da sinistra a destra. Nel medioevo si credeva fossero dettati da Satana in persona. Ora servono a evocare il demoniaco che si cela nell’opera umana.
“Io generale presi la collina in un mattino di furiosa pioggia, 380 i miei soldati come topi a frotte lasciavano le tane di fanghiglia. Quanti son morti sotto la mitraglia insozzando la terra di ventriglia avranno onore e lapide e medaglia a me un comando di maggior prestigio forse un governo in pace o un ministero. Patrii confini , Alpi, rosse correnti fragorose di sangue, cimiteri d’elmi forati , lapidi perdute 390 dove fiorisce timido lo spino seppelliste il valore e la ferocia” “Sento i miei baffi d’istrice vibrare aghi di ghiaccio sul labbro rappresi. La nuda fredda steppa fu fatale sempre ai colleghi miei predecessori. Anche il Francese che lasciò l’impronta nella gelata mota della piana non mi fu di consiglio a miglior sorte. Io che con matematico disegno 400 volevo liberare l’universo da quella bruta razza d’animali e condussi spogliate le gazzelle ai neri forni, ai densi fumi eterni che ingrigivano il cielo tristemente resistetti fino all’ultima casa all’ultimo bambino per me armato” “Quale mandria condussi incatenata per miglia e miglia d’innevate dune. Quanti affidai ai venti siberiani 410 perché ne cancellassero ogni traccia. Quando sfiniti dal cammino, esausti si piegavano al suolo senza fiato come giumenti al giogo dell’aratro. Mia Rush come il lamento delle gru Somiglia al pianto fermo delle madri. La pietà delle icone è perduta nel fondo buio di sabbie paludose. Quanti nella demenza dei tormenti non conobbero il padre né il fratello! 420 Nell'ebbrezza del sangue la paura s’insinuava come una larva insonne rendendo più feroce la follia” “Gli scienziati mi avevano avvertito, non era una palla di cioccolato non un fungo del prato, un ombrello che le signore portano sui viali a passeggio per riparo dal sole. A Washington brindai quella mattina all’esito felice della guerra. 430 Non mi turbava il sonno la visione di quei visi nipponici sbiaditi esplodere in coriandoli di carne. Da quel giorno cadde una pace fredda come neve sul campo di battaglia”. “Sono nata in un hangar del deserto nel segreto fu il mio concepimento dietro le siepi di filo spinato. Ricordo il giorno dell'esperimento sotto il sole polveroso e cocente 440 i loro sguardi attoniti la mia smisurata felicità mostrando l’infinita potenza, l’assoluta libertà di trascorrere nel cielo con un volo infuocato di gabbiani. Ricordo una città come le altre i palazzi di pietra le fontane fabbriche grigie fumanti officine periferie di case diradanti nella verde campagna contadina 450 tanto azzurro sopra di me e di sotto. Non potei trattenere la fissione era un immenso orgasmo primordiale che strappa le lenzuola, abbatte i muri urlo nei cieli perfidi di lino nei paradisi di bollenti nubi scarlatti laghi amari di veleno. Dietro di sé lasciò desolazione e una morte invisibile nell’ aria” In girum imus nocte tenebrosa 460 la mia voce di bronzee risonanze sentore di cantina nel mio cuore et consumimur igni nera stella.
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